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VOCI DEL LESIMA - Splende la luna in cielo
VOCI DEL LESIMA
Splende la luna in cielo

RDC 5034 4
World Music


Dunya Records
Italia
 
MC
 



Il Lésima è una bella montagna dell’Appennino settentrionale : la sua cima (1724 metri), divisa fra la lombarda provincia di Pavia e quella emiliana di Piacenza, è in buona compagnia: suoi vicini sono l’Ebro, e qui siamo in Piemonte, in provincia di Alessandria e il Carmo (1640 metri), quest’ultimo addirittura in condivisione con le ultime due sopra citate e Genova, capoluogo ligure. Così, di vetta in vetta, abbiamo toccato tutte le province interessate alla sostanza di questo disco dedicato alle musiche tradizionali dell’area nota tra gli etnografi come, appunto, delle “Quattro province”.
Amministrativamente separate da confini, peraltro mutevoli nel tempo, le valli di questo territorio hanno visto continui scambi di forza lavoro, di commerci, di cultura che ne hanno fatto un punto d’incontro dove, tra le altre cose, si sono fusi insieme e trasformati repertori e stili di canto.
L’idea da cui è nato questo disco è stata appunto quella di documentarli per la prima volta attraverso questo mezzo, ripensandoli quindi, e impiegando al meglio le diverse esperienze dei cantori e dei suonatori. Il repertorio, formalizzato si, ma non certo imbalsamato e legato alla versione “giusta”, ha una variabilità di fondo testuale e musicale che rende disponibili versioni diverse, scelte dai cantori del gruppo secondo l’interesse fra loro suscitato. Quindi fusione di stili affini ma non originariamente identici, specchio dell’itinerare dei cantori e dei suonatori da un paese all’altro, dalla costa alle valli dell’interno sui carri contadini, su quelli dei mondariso, sui camion militari, dietro ai muli. A proposito: due dei componenti del gruppo il mulattiere l’hanno fatto davvero e secondo una testimonianza raccolta a Bogli, dietro alle mule qualcuno che cantava c’era, con una ritmica molto allentata come si conviene al passo montano degli animali da soma e, sicuramente, non a più voci data la lontananza tra mulattiere e mulattiere.
Bogli è un paese famoso per i suoi cantori, tanto famoso che il modo di cantare dei suoi abitanti ha dato un nome ad un repertorio e si chiamano “buiasche” le canzoni da loro diffuse. È un tipo di canto che viene definaito anche “fermo”, in relazione all’assenza di una battuta vera e propria e che, tuttavia, non è mai eccessivamente strascicato ed è ricco di accenti, di appoggi alle frasi musicali; tutto cantato con voci maschili, due solisti (il primo, che canta più alto, il secondo che sta sotto, sempre chiamati così indipendentemente che sia l’uno o l’altro ad iniziare il canto), e i bassi “aperti” ossia che intonano il testo dall’inizio alla fine. Occasionalmente ci può essere un baritono che si infila tra i soli e i bassi e normalmente c’è un “vusìn”, uno dei bassi che sale in alto nei finali. In questo disco si può ascoltare il più noto dei canterini bogliési: Attilio Spinetta detto “cavalli” che ha una voce veramente inconfondibile e tutto un repertorio di canti, specialmente narrativi, tramandatigli dal padre e da uno zio; in questo disco ci sono anche due sue fulminanti uscite: un Capriccio (con un testo che sembra un nonsense ma non lo è) e una Filastrocca molto nota nella zona.
Del canto di Bogli le “Voci del Lésima” adottano la disposizione dei due solisti e, in qualche canto, quella dei bassi che però la maggior parte delle volte cantano vocalizzando, alla genovese, cosa che ha una sua giustificazione sia nel fatto che un tempo c’erano nell’area pavese gruppi che cantavano così ( il “trallalero” più o meno stilisticamente aderente al modello ligure, come testimoniato negli anni Ottanta/Novanta dal Sentiero del Sale formazione che ha in repertorio sia i canti “lombardi” che quelli alla genovese e nella quale cantano il baritono di questo gruppo Gianni Chinotto e i bassi Ivo Domenichella e Angelo Asborno), sia nel fatto che alcuni dei componenti del gruppo hanno esperienza diretta di questo tipo di vocalità. Per dar vita ad una sonorità più equilibrata le “Voci del Lésima” cantano però in tonalità non troppo elevate, e allora i bassi non sempre vanno sul “profondo” alla genovese. Il “vusìn” non viene utilizzato: i cantori del gruppo lo intendono solo come armonico, come suono risultante dalla fusione delle voci e lo chiamano “la nonna” (come si può ascoltare, le sue visite sono molto frequenti... ...).
C’è invece la quasi costante presenza di un “terzo”, una voce che sta fissa sopra le altre, una sorta di bordone superiore che rende gli accordi più rotondi, alla quale si alternano Claudio Scannavino e Stefano Valla.
Molti dei canti qui eseguiti appartengono al repertorio di genere narrativo che, con prospettiva marina, si chiama “di su”, ed è praticamente inesistente nel canto di squadra. Due di essi appartengono al genere cosiddetto “epico-lirico” della classica raccolta del Nigra: il primo è Majulin che corrisponde come argomento al n. 10 col titolo L’infanticida alla forca ; già nel 1855 lo stesso era stato pubblicato dal Marcoaldi in una lezione di Ovada (Alessandria) chiamata L’infanticida. Nella versione qui registrata non si assiste nè all’epilogo finale con l’esecuzione della colpevole, ne c’è traccia delle affannose richieste della giovane che cerca di ottenere denaro dalla madre per uscire di prigione (in una versione di Castelnuovo Nigra pubblicata nel 1986 da Amerigo Vigliermo, la ragazza canta « ... mandeme ën vaglia su queste catene ...» ).
L’altro canto narrativo antico è Inglesina reperibile nel Nigra al n. 13 col titolo Un’eroina ; l’argomento della ballata è comune, con le solite varianti, a molti paesi europei. La versione qui eseguita riduce (per amore di equilibrio e concisione) il fatto nei suoi tratti essenziali, senza il ritorno a casa della donna e il dialogo con i fratelli ; l’esecuzione è a sole tre voci, quasi “cameristica” e di sapore intimo e familiare, quale si potrebbe gustare dopo una cena quando si sta un po’ “sul gotto” in piccola compagnia.
Altri canti narrativi sembrerebbero appartenere ad unlivello più recente, come Il delitto, una canzone diffusa in zona ma, sembrerebbe, non in altre aree dell’Italia settentrionale ; qui il colpevole è un uomo anche se il secondo verso recita in verità « ... di aver ucciso il mio primo amatore ...».
Picchia picchia la porticella è invece diffusissimo in tutta l’Italia settentrionale con una stabilità melodica che lo fa supporre piuttosto recente, nonostante una certa affinità tematica con alcune versioni di Convegno notturno (n. 76 nella raccolta Nigra, nota anche come La Pinota). La melodia è a sua volta simile ad una di quelle sulle quali si intona La bevanda sonnifera (n. 77), e viene qui intercalata con un ballo da piffero.
C’è anche un brano da cantastorie, Ferruccio, tratto da quel repertorio diffuso attraverso i fogli volanti, che nel pavese e nel piacentino viene eseguito anche solo strumentalmente con piffero e fisarmonica.
Al genere lirico sono associabili, con qualche “sfumatura” narrativa Splende la luna e Dammi un ricciolo, d’argomento amoroso.
Nell’area della quale ci stiamo occupando, i canti rituali hanno sempre avuto un posto importante, eseguiti per carnevale, per il Natale, per i coscritti, per i matrimoni. Anche se piffero e fisarmonica continuano anche oggi ad allietare il giorno delle nozze, il repertorio vero e proprio da sposalizio è attualmente defunzionalizzato, pur restando musicalmente il più affascinante.
Piffero e fisarmonica sono qui suonati rispettivamente da Stefano Valla, rappresentante odierno della grande tradizione con i nomi di Giacomo ed Ernesto Sala (“Jacmòn” e “Vanéla”), nonchè canterino nella squadra genovese della Valpolcevera ( nella quale cantano anche Angelo Asborno e Ivo Domenichella) e da Franco Guglielmetti, un piacentino che con lui fa coppia fissa da anni, oggi anche nel gruppo I suonatori delle quattro province.
Questi Strumenti venivano associati alle voci nei cosiddetti “stranòt”, canti lirico-monostrofici (ma talvolta di derivazione epico-lirica) eseguiti nei vari momenti dello sposalizio, il cui significato rituale si è andato perdendo nel tempo: abbandono della casa paterna da parte della sposa, pranzo di nozze, arrivo della sposa nella casa del marito. La struttura di questi canti comprende solitamente una parte lenta intonata da una voce di tenore “danati al piffero”, che orna la melodia girandoci intorno (fornendo un esempio di eterofonia di casa nostra) accompagnato dai bassi, e da una parte veloce a tempo di ballo, un brano “da strada” che serviva anche ad accompagnare i trasferimenti del corteo nuziale attraverso il paese. La bella növa introduce al repertorio dei canti da sposalizio, poichè in realtà ne prepara l’avvento, trattandosi di una ambasciata che si conclude, sembra, con un fidanzamento: i bordoni di quinte parallele ricreano un’embrionale armonia sotto ad una melodia che si modella sulle scale proprie del piffero ; l’intevento delle voci nonsense mima la coppia strumentale piffero e musa (più antica di quella attuale piffero e fisarmonica) ; le strofette Oh Cegni Cegni bello mutuate dal repertorio di risaia, hanno la funzione di una sestrina conclusiva, con una botta di trallalero anche con la chitarra vocale, ma senza il falsetto indispensabile al canto genovese.
Date le premesse ecco poi che La bella si marita: piffero e fisarmonica all’inizio, i primi due versi dello strambotto, El vin bon un valzer ad andamento moderato (quindi “da strada”), terzo e quarto verso dello “stranòt”, sestrina conclusiva, ballo defunzionalizzato e usato proprio per occasioni come queste.
Celebrato il matrimonio, dopo il pranzo si partiva ed ecco Le carrozze, classico canto narrativo adattato al momento del trasferimento del corteo nuziale che accompagnava la sposa a casa dello sposo (spesso il “viaggio di nozze” si risolveva in questo spostamento ...). Sü e sü per San German è un frammento, una scheggia di vita matrimoniale, un passeggio con la sposina al braccio così come lo ricorda Mario Brignoli di Negruzzo.
Dormi dormi è invece un canto natalizio registrato con il semplice accompagnamento dell’armonium, come lo si è sempre realizzato nella chiesa di Cegni dove è tradizione venga eseguito con il piffero la notte del 24 dicembre: la particolare atmosfera pastorale creata dallo strumento ad ancia doppia, rende del tutto spontaneo l’adattamento strumentale del canto. Questo si trova in manuali religiosi diffusi fra Otto e Novecento come “La Figlia Cristiana provveduta” (S.Benigno Canavese, 1904) dove compare fra le Laudi Sacre col solo testo senza indicazione d’autore. La musica pubblicata in “Mira il tuo Pop” di Michele L. Straniero (Milano, 1988) è diversa dalla versione qui presentata.

Mauro Balma




VOCI DEL LESIMA dal Felmay Shop


 
 
  Musicisti

Angelo Asborno : basso
Gianni Chinotto : baritono
Ivo Domenichella : basso
Claudio Scannavino : seconda, terza voce
Attilio “Cavalli” Spinetta : prima, seconda voce, voce solista in “La bella si marita”
Stefano Valla : prima, seconda, terza voce, “chitarra”, piffero, voce solista in “La bella növa”

Ospiti :
Franco Guglielmetti : fisarmonica, seconda voce in “Ferruccio”
Fabrizio Zanocco : armonium
Mario “Mas-cin” Brignoli : voce in “Sü e sü per San German”

 
 
 
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