Dire “trallalero” è dire Genova. È infatti nel capoluogo ligure che questo straordinario esempio di stile polifonico vocale trae le sue origini, prima di diffondersi, da un lato, sino alle Alpi Marittime, dall’altro alle colline piacentine.
Il GRUPPO SPONTANEO TRALLALERO vanta un’attività ventennale e, pur tra ovvi e fisiologici cambi di formazione, ha sempre perseguito sia il lo studio e il mantenimento del repertorio tradizionale sia il gusto per la ricerca. Come altre “squadre di canto” genovesi, il gruppo ha trovato forza e continuità nelle innumerevoli esibizioni dal vivo, ma “Vagabondo” è importante documento per fermarsi un attimo e fare il punto della situazione. Diretto dal maestro Giuseppe Laruccia, il GST si avvale di un baritono, un contralto, una voce “chitarra”, e diversi bassi per proporre una serie di esecuzioni intense e a tratti persino toccanti. Il “trallalero” trova la sua originalità nella fioritura e nell’abbellimento delle melodie, nei contrappunti e nell’imitazione strumentale offerta da una parte delle voci. Il programma del disco è all’altezza della fama che il GST si è conquistato negli anni. A una serie di titoli appartenenti alla più pura tradizione del genere, tra cui spiccano “La partenza” e “Vagabondo”, si affiancano brani d’autore che vanno dalla “Serenata di Don Giovanni” di Bixio e Cherubini a “Pippo non lo sa” dell’indimenticabile Gorni Kramer e alla sorpresa di “Il problema più importante” (Clark, Beretta, Del Prete), portata al successo da Adriano Celentano. Discorso a sé merita “Tiritoc”, composizione di Nando Citarella tratta dal repertorio dei suoi Tamburi del Vesuvio. Si tratta di una moresca in cui l’autore, presente anche in veste di ospite, si mette in gioco per sperimentare, insieme al GST, la versatilità del “trallalero” a contatto con strutture ritmiche differenti. Grazie a “squadre” come il GST un importante patrimonio della cultura musicale italiana continua dunque a vivere e prosperare. E come afferma Beppe Grillo nelle note accluse al disco «sono convinto che [del “trallalero”] fra cinquant’anni ne parleremo ancora».